Itinerari: c’erano una volta un’Alfetta e due Buick

Sarteano, un luogo dove la storia entra in contatto con il presente. Un luogo magico, dove le leggende sfrecciano ancora per le sue piccole stradine di campagna, facendo ruggire quei motori che un tempo dominavano la scena urbana. Dopo gli eventi passati e la visione della NB Collection, la mia concezione del posto è cambiata totalmente. In quel paesino sperduto della Toscana si celano le vecchie glorie e proprio in quel paesino sperduto ha avuto inizio una delle avventure migliori degli ultimi anni. Tutto comincia con un’Alfetta 1.8 marroncina, un’auto storica per il nostro paese che nel ’75 faceva impazzire giovani e non solo. Per me una concezione impossibile da capire, un periodo che non mi appartiene ma di cui ho sentito molto parlare. Ad accompagnare la “collega” una Buick GS del ’72, un gioiello in tutto e per tutto, dalla livrea aggraziata ma allo stesso tempo aggressiva, capace di dominare le strade di un paese molto lontano da quello originario. Infine la vecchia signora, la più anziana e la più maestosa, una Buick Eight del ’37, un pezzo di storia che cammina. Sono bastate queste tre perfette sconosciute per creare un viaggio di quelli che racconteresti agli amici con orgoglio.

Salire su un’Alfa Romeo di quarant’anni fa è sicuramente un’esperienza strana, in quanto la vettura stessa si allontana dal mio pensiero di automobile moderna, a cominciare dalla sue dimensioni ridotte e i suoi interni particolari: sedili bianchi come il latte, uno sterzo appariscente, un pomello del cambio rialzato a 5 marce, manovelle per regolare i finestrini e una vecchia radio che non ho neanche acceso, non perché non volessi, ma perché una volta messa in moto l’auto, la musica era già partita. Mi hanno detto circa 122 cv ma per me c’era qualcosa in più ed erano tutti lì che fremevano. Dunque con la Buick del ’37 avanti e quella del ’72 nel mio specchietto retrovisore è cominciata la traversata verso la cara vecchia Roma. Un viaggio che si allontana decisamente dalla parola noia, specie se si pensa che scendere i tornanti di una collina su un’auto d’epoca è molto più divertente che farlo su un’auto moderna. Il peso della vettura si sente ma ciò non le ha impedito di correre liberamente, tanto che l’aumentare della velocità su un’Alfetta è un qualcosa di impercepibile e si passa da 70 km di velocità di crociera a 120 km in un batter d’occhio.

Poi c’è stata l’autostrada, due ore interminabili dal momento che le nostre tre auto si muovevano insieme e a stare dietro ad una vettura degli anni Trenta ci vuole pazienza, soprattutto alla vista dei tir che sorpassavano indisturbati. Finché verso Roma abbiamo potuto dare il meglio di noi, o meglio, l’Alfa ha potuto dare il meglio di sé. La piccola italiana si faceva strada nel traffico, con una spinta di chi ha tutte le carte in regola per spodestare le nuove regine dell’asfalto, passando ripetutamente dalla quarta alla quinta, come fosse un balletto. Peccato che questi piccoli momenti di gioia e libertà si siano interrotti quando abbiamo dovuto fare i conti con le buche della nostra amabile Capitale.  Alla fine siamo riusciti a portare le auto a destinazione e a malincuore a riconsegnare le chiavi della mia piccola compagna di viaggio.

[ Jacopo Romanelli ]

 

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